Cinquant’anni fa la morte di Elio Vittorini: storia dell’amore che lo portò in Brianza

Cinquant’anni fa moriva Elio Vittorini, il Gran Lombardo della storia letteraria del Novecento sepolto a Concorezzo. Era il 12 febbraio 1966. La storia dell’amore che lo portò in Brianza.
Elio Vittorini
Elio Vittorini Redazione online

Due volte ha visto Concorezzo, una Monza. In una occasione, una sola, i fatti coincidono: era morta la madre di Ginetta, lui aveva caricato gli amici più stretti e suo figlio in macchina ed era partito. Direzione Brianza. Da Milano. Si erano persi a Monza, “a un certo punto ci siamo trovati davanti al duomo”, poi avevano recuperato la strada ed erano arrivati a destinazione.

Al cimitero di Concorezzo. Dove avrebbe seppellito la madre del più grande amore della sua vita. Dove sarebbe stato seppellito anni dopo. Lui è Elio Vittorini, chi parla è il figlio, Demetrio. Concorezzo, Brianza, una tomba che solo da qualche anno ricorda che lì sotto c’è uno dei protagonisti della macchina culturale del Novecento. A raccontarlo, nel 2008, era stato Demetrio, il piccolo Mitija nelle parole del padre, subito dopo la pubblicazione di “Un padre e un figlio” per Baldini e Castoldi, nel 2002.


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Che fosse lì lo si è scoperto tardi, al di fuori della sua cerchia più intima: è stato necessario aspettare Raffaele Crovi, suo allievo editoriale, che nel 1998 ha deciso di mandare alle stampe una biografia dello scrittore siciliano per Marsilio raccontando quello che pochi sapevano. Sono passati oggi cinquant’anni: il 12 febbraio del 1966 Vittorini moriva a Milano vinto da un tumore con il quale aveva combattuto per alcuni anni. Pochi giorni prima aveva ufficialmente sposato Ginetta Varisco, figlia di una famiglia di imprenditori concorezzesi e milanesi, l’amore di una vita dopo la separazione dalla prima moglie.

Nel testamento aveva chiesto di essere sepolto con lei, quando fosse morta: ormai quasi vent’anni fa il Cittadino ha trovato le prove che così avvenne, quando la donna morì. Per diverso tempo nessuno o quasi ne seppe nulla. Poi nel 2008 Crovi scrisse un volume per Marsilio in cui ripercorreva la straordinaria avventura intellettuale di Vittorini e la notizia, grazie anche alla libreria La Ghiringhella, prese il largo.

«Era un amore terribile, che avrebbe potuto atterrirci perché sempre così presente, ogni minuto, così presente e talmente definitivo da far paura come fa paura l’assoluto, perché vi costringeva a credere all’amore» avrebbe poi scritto di loro Marguerite Duras, che tra il 1946 e il 1949 aveva conosciuto e frequentato Elio e Ginetta.

Lo sfondo è soprattutto quello di Bocca di Magra, le vacanze al mare, quando il turismo di massa era di là da venire. Là si raccoglievano gli intellettuali che poi tra Milano e Torino si raccoglievano attorno agli editori Einaudi e Mondadori, ricostruendo nei libri un’Italia lasciata esanime dal ventennio fascista.

«Mi si dirà che era una bella fortuna assistere a un simile amore in un paesaggio come quello di Bocca di Magra – avrebbe scritto la francese nei quaderni pubblicati in Italia da Feltrinelli nel 2008 – Si, credo che fosse una fortuna».
Che aveva descritto Ginetta così: «Era molto, molto lunga, come sono lunghi certi animali, l’antilope, la pantera, certe cagne dalle zampe lunghe, i fianchi incavati, il collo lungo, razze da caccia o da corsa. Aveva un ventre quasi piatto, appena leggermente convesso, e seni muscolosi».

«Una delle immagini più forti a distanza di tempo sono i suoi ultimi anni – raccontava pochi anni fa il figlio Demetrio – Allora lui cercava di vivere, di attaccarsi prepotentemente alla vita, di recuperare tutto quello che gli mancava. Leggeva, studiava matematica, geometria, la lingui- stica e De Saussure, filosofia». Così come aveva fatto anni prima quando costruiva il suo inglese grazie all’aiuto di Mario Praz, alle Giubbe Rosse di Firenze, la stessa lingua che gli avrebbe poi permesso di tradurre gli americani e di portarli in Italia.

Erano i primi anni Trenta del secolo scorso, proprio quelli in cui incontra la figlia degli industriali di Concorezzo, ai tempi in cui le famiglie di imprenditori si dividevano tra la provincia e la casa a Milano. Il padre di lei era stato anche sindaco del paesino brianzolo nei primi vent’anni del secolo breve. Lei aveva cultura, carattere, sapeva guardare in faccia l’uomo che aveva costruito Einaudi con Italo Calvino esplodendo in un “e alura, el liber?”.

Lui ci si perdeva in quel dialetto due volte sconosciuto. Lontano dalla lingua della sua Siracusa che aveva forse dimenticato e lontano dall’italiano che gli editori predicavano nell’Italia da ricostruire. Quel mondo condiviso da Ginetta ed Elio Vittorini era Sartre e De Beauvoir, Manganelli e Calvino, Duras, Pavese, Einaudi, Bompiani, Gadda e Sereni, Noventa e Debenedetti, Montale, il poeta che sarebbe stato padrino di Mitija. E poi Vasco Pratolini, De Forêt, Sonia Blair, la vedova di George Orwell, così come Carlo Emilio Gadda, Umberto Saba, Mario Rigoni Stern.


In occasione dell’anniversario Bompiani ha ridato alle stampe il “Diario in pubblico”, autobiografia e romanzo militante. Sono i frammenti del Novecento che realizzano, scrive l’editore, “un grande affresco letterario che comprende autori come Gadda e Montale, i maestri stranieri, l’impegno antifascista, la letteratura americana di Faulkner ed Eliot”.

Mezzo secolo fa moriva a Milano il Gran Lombardo della storia letteraria del Novecento: un giorno un’auto mal guidata lo aveva portato prima davanti al duomo di Monza e poi a Concorezzo. Una scelta d’amore, più tardi, lo avrebbe portato definitivamente in Brianza.