Mi ritorni in mente, caro Roller: tra Pioltelli, Barzaghi e quel 1989

Il Roller Monza e il 1989. Il racconto in prima persona di quei giorni di acredine e ambizione, di successi e rabbia. Una pagina indelebile dello sport rotellistico nazionale e, soprattutto, cittadino nella rubrica “Mi ritorni in mente” di Mario Bonati.

Erano incompatibili come il giorno alla notte e l’Inter alla Juventus. Assecondando l’indole del proprio campanile, erano rivali duri, puntuti e – soprattutto – spietati. Rancorosi abbastanza per non salutarsi oltre uno sdegnoso “ciao” di circostanza, Giandomenico Barzaghi e Gianni Pioltelli hanno rappresentato – nel piccolo mondo antico dell’hockey a rotelle – la degenerazione per troppo amore della passione sportiva. Erano convinti, sbagliando, di aver una missione da svolgere: distruggere – a parole – i presunti assiomi del rivale. Riaffermando la superiorità della propria consorteria, Barzaghi e Pioltelli avevano la certezza di essere nel giusto per massacrare il rivale con malcelato livore.

Conoscendosi da ragazzi – bazzicando tutti e due la pista di via Boccaccio – non avevano riguardo di intingere nel curaro la propria macchina da scrivere. Le ferite in corpo otto erano affronti da lavare con altro sangue. A salvarli dal precipizio, subentrava la regola non scritta di Giovannino Fossati: il signor Peggio sta sempre dietro l’uscio. Per cui: polemica sì ma misurata e – soprattutto – salvata dalla buonacreanza. La tacita tregua armata era rotta dopo il pensionamento del Vecchio. Di colpo, i due galli del pollaio avevano messo in mostra muscoli e molto presunte medaglie. Redattore alle prime armi contro tali bargniffoni, rotti a tutto per la sterile supremazia settimanale della parrocchietta hockeistica cittadina, avevo una possibilità soltanto: batterli – una volta per tutte – a campo aperto.

Giandomenico Barzaghi era il più duro di comprendonio, quanto si metteva: grande e grosso, sfrontato e strafottente, era l’insolenza fatta persona. “Per favore” era un vocabolo sconosciuto per la sintassi elementare dell’uomo. Cosa facesse non lo so: si sussurrava portasse nella Capitale documenti “riservati”. Richiesto di una doverosa spiegazione, lui – antipatico a prescindere – glissava e svicolava. Qualcuno, maligno, la buttava in politichese spicciolo: Barzaghi era il portaborse di basso cabotaggio che assicurava il collegamento tra la periferia e il Palazzo.

Il preteso galoppino, toccato nel profondo, prometteva esposti e querele: in realtà, Barzaghi aveva, del lavoro, una propria religione che bastava e avanzava a perdonare le sue mattane. L’acrimonia di Giandomenico era leggendaria: sempre critico per partito preso, salvava solo il “suo” Roller, condannando alla dannazione – non solo sportiva – l’Hc Monza. Transfuga mai pentito, aveva un odio viscerale contro i colori di una volta. Già colpito da una malattia che non perdona, scriveva: “L’affiliazione del Roller alla Fihp fu ostacolata da alcuni antisportivi, i quali ebbero anche il coraggio di sentenziare che, comunque, il sodalizio biancozzurro avrebbe avuto pochi mesi di vita. Per sistemare la questione si dovette ricorrere all’ausilio di un personaggio di Roma”. Ogni incontro, uno scontro: a salvarlo in corner era – alla fine – la genuinità dell’imbarazzante personaggio.

Gianni Pioltelli era una pasta di persona, guastata anche lei – purtroppo – dal demone della faziosità. Lavorava in Comune, ufficio economato: scriveva di getto a casa sua, per riguardare il tutto nei ritagli del lavoro. Era solito postare il tutto nella capiente buca delle lettere di via Moriggia nella pausa pranzo, tra un tramezzino e un cappuccino preso di corsa. Era solito dare del “tu” alle correttrici come agli amministrativi, convinto che il suo socialismo dichiarato sollevava dalle minime convenzioni sociali. Il mercoledì pomeriggio, Gianni era tra i primi che sfogliava il giornale fresco di stampa, spesso incavolandosi per il taglio delle pagine: troppo spazio per il Roller, sacramendava più che convinto. Ed io, paziente, a ribadire il concetto: parità di trattamento in tutto e per tutto. Non si bara: il cuore rimarrà sempre biancorosso, ma ho uno splendido rapporto con Pierangelo Ferlinghetti e la sua “creatura”, te capì? Bofonchiando giustificazioni a perdere, il Gianni batteva in ritirata.

Nonostante che aveva già passato gli “anta” da un pezzo, vestiva giovanile e sfoggiava con disinvoltura una serie di parrucchini che facevano tenerezza. I toupet d’ordinanza avevano le nouances delicate di un biondo Redford o più caricate di un caffè espresso: insomma, era un mito. L’avevo conosciuto per davvero l’11 gennaio 1987, alla Spezia. Trenta ore di nevicate furiose avevano messo in ginocchio tutta la pianura padana. Il partire erano più un azzardo: era una pazzia bell’buona. Arturo Monti, al volante della sua fida Espace, sembrava Roald Amundsen con i capelli lunghi e lo sguardo sgherro dell’ex pallavolista. A fianco, io medesimo, Patrizio Garbo e Gianni Pioltelli. Per temperare la tensione verso la Cisa, il Gianni squadernava l’andata di Coppa Italia di Serie C 1974/75: Spezia-Monza 1-1, gol di Berlucchi e – credo di ricordare – Frigerio. “Il Berlucchino aveva disputato una partita coi fiocchi: per me valeva Antonelli”, spropositava il Gianni. Tanto convinta e persuasa mozione del cuore valeva il lasciapassare per l’ottimista più speranzoso dell’universo.

Nonostante gli spropositi e le sparate a salve, gli volevo un sacco di bene. Il campionato di hockey a rotelle 1988/89 si apriva, il 25 ottobre, con il botto: la Mobilsiglia Seregno di Gabriel Cairo e Corrado Gozzi espugnava il PalaBrugherio per 7 a 5; il Beretta Monza, invece, pareggiava per 7 a 7 a Valdagno. Il derbyssimo andava in scena alla quarta giornata, il 5 novembre: tirata e bellissima come al solito, la stracittadina si chiudeva con un nulla di fatto (7 a 7). La quinta giornata, a Biassono, la (presunta) Grande Armata biancorossa cadeva – per la prima e ultima volta – contro il Seregno (7-10). Poi, fino alla fine della regular season, il Beretta allenato dal commissario in carica della Nazionale, Gianni Massari, aveva messo in fila un’impressionante sequela di squillanti vittorie. Ma il derby di ritorno (8 a 8 a Biassono) aveva detto che il divario tra l’Hc Monza ed il Roller si era molto assottigliato. Lo squassante blitz al Palastadio (0-11) certificava la crescita esponenziale dei ragazzi di Mario Aguero: ma il buon Pioltelli, tetragono allo spostamento degli equilibri in corso, pontificava convinto: non ci batte nessuno.

Le cifre erano dalla sua parte. L’Hc Monza aveva vinto 24 partite, pareggiate 4 e perso una soltanto; aveva realizzato 300 gol e subìto 145 reti e Pino Marzella aveva surclassato gli avversari con un bottino di 91 gol: una enormità. Barzaghi masticava fiele: siamo diventati il bollettino del Beretta, diceva – in privato – del giornale. I quarti di finale dei play off scudetto avevano sancito il passaggio in semifinale dell’Hc Monza (con il Forti dei Marmi: 13-4; 7-10; 5-2) e i Supermercati Brianzoli (con l’Amatori Vercelli: 5-7; 4-2; 5-2); con loro, i campioni d’Italia uscenti del Novara e la mina vacante Seregno. Sbarazzati dei due avversari (Beretta-Seregno 6-4; 9-3; 5-3. Supermercati Brianzoli-Novara 7-5; 6-9; 5-3; 9-4), gli arcirivali cittadini affilavano gli artigli per la conquista del titolo tricolore.

Venedì 16 giugno: in partenza per Bari, per l’ultima giornata del campionato di Serie B, avevo chiamato Pioltelli dall’aeroporto di Linate: caro Gianni, i suoi presunti invincibili sono sulle ginocchia. Massari ha sbagliato la preparazione e poi, sacramento, i due Mariotti non stanno facendo vita d’atleta. L’aedo biancorosso rigettava al mittente le accuse: bubbola. Vinciamo 3 a 0, non ci sono storie. Infatti: il Roller vinceva il primo derby in assoluto (6-5 a Biassono) e diventava la logica favorita per la conquista del titolo. A Brugherio, stesso copione: 7-6 e scudetto ad un passo. Afflitto da un cancro che non perdona, Giangiacomo aveva la forza di commentare a suo modo la fragorosa sconfitta dell’ex squadra del cuore: che goduria. Il Beretta – con un sussulto d’orgoglio – vinceva gara tre al PalaVergani per 4 a 2. Il match ball era rimandato a sabato 1° luglio, sempre al “Paolo VI”.

Venerdì 30 giugno, sul tardi, squillava il telefono in redazione: Barzaghi, spossato dalla malattia, non se le sente di venire alla partita. “Mi raccomando: scriva tutto lei. Quello non deve scribacchiare neanche le interviste”. “Quello” era il Gianni Pioltelli. Altra telefonata: ciao Pio, guarda che ecc. ecc. La morte incombente del nemico giurato non ammorbidiva la posizione del Gianni: non capisco ma mi adeguo. Le interviste, ad ogni modo, sono mie. Anche perché, sotto sotto, andiamo alla bella. Illuso: la Ferlinghetti band regolava l’Hc Monza per 8 a 6 si laureava campione d’Italia. Pioltelli era una iena ferita. Mordere i reprobi alle caviglie non sarebbe servito per lenire l’acuto dolore. Il Roller di “quell’altro” aveva vinto il titolo: era inconcepibile. Scriverà dopo due settimane, a bocce ferme: “Non penso che la sponsor voglia cedere le armi dopo una stagione che ci ha visto vincere anche qualcosa di un certo prestigio come Coppa Cers e Coppa Italia (e bene anche quest’ultima, checché se ne dica da qualche parte)”: l’epicedio più sensazionale per l’avversario di una vita.