Autodromo, l’incidente in pista a Monza nel 1928 e le (prime) modifiche al tracciato

Incidente in autodromo a Monza nel 1928: Materassi vola e la sua auto travolge 27 spettatori. Si interverrà sul rettilineo e sulla sopraelevata nord, con Vincenzo Florio. Sino al 1955 rimarrà la più grande tragedia del motorsport. Lo racconta Mario Bonati.
Autodromo, l’incidente in pista a Monza nel 1928 e le (prime) modifiche al tracciato

Domenica 9 settembre 1928: nonostante le astruserie regolamentari dell’Aicar, il Gran Premio d’Italia richiama a Monza tantissimi appassionati della velocità. Per rilanciare la massima categoria di gara, penalizzata – di suo – dall’obsoleta cilindrata di 1500 cc, l’Associazione internazionale vara improbabile “formula libera”: a mare, in un amen, cilindrata dei motori, limiti di peso, distanze di gara; al suo posto, un pasticciaccio che ambirebbe – in teoria – a sviluppare la ricerca della prestazione massima e dello spunto di velocità. Il cambiamento non attacca: la nuova categoria è sorpassata ancor prima di essere varata. Sfruttando le pieghe del regolamento, Alfa Romeo, Maserati e Talbot si ritirano dalle competizioni per sviluppare i prototipi del domani. Vendute in blocco al miglior offerente, i vecchi modelli sono rielaborati e sviluppati dalle Scuderie private: in assenza delle Case ufficiali, c’è spazio per soluzioni tecniche coraggiose che precorrono i tempi. A garantire lo spettacolo di pista ci sono i più scafati piloti in circolazione: da Tazio Nuvolari a Achille Varzi, da Gigione Arcangeli a Gastone Brilli Peri, da Louis Chiron a Emilio Materassi. La gara riesce ad appassionare in ragione della precarietà del regolamento dell’Aicar.

Il tragico incidente del 18° giro del Gran Premio d’Italia cambierà per sempre la percezione del pericolo nei circuiti di tutto il mondo. Sul rettilineo centrale, la Talbot di Materassi – a causa di un probabilissimo cedimento meccanico – scarta a sinistra e investe il “parterre” della tribuna principale. Ormai fuori controllo, la macchina del fiorentino supera le reti di protezione e il fossato di contenimento, si rovescia e si abbatte sul muro di folla. Muoiono ventisette spettatori e il povero Materassi. Per 27 anni, fino alla raccapricciante strage di Le Mans 1955 (ottantacinque vittime), il dramma di Monza sarà il più spaventoso incidente nell’automobilismo sportivo d’ogni d’epoca. La commissione d’inchiesta del Raci – appurato che troppi appassionati avevano scavalcato le recinzioni di sicurezza per vedere la gara – assolve con formula dubitativa l’Autodromo. Per due lunghissimi anni, il Gran Premio d’Italia viene annullato dal calendario di gare: al suo posto – in sua vece – il Gran Premio di Monza. Scottata della drammatica vicenda, la Commissione Sportiva Automobilistica approva il progetto di potenziamento delle strutture protettive presentate dall’Ac Milano e incarica il presidente della Commissione stessa, Vincenzo Florio, di trovare una soluzione condivisa che salvi l’unicità del tracciato monzese. “u Cavaleri” è un galantuomo abituato a misurare il successo dall’ingratitudine dei beneficati.

Scettico quando basta e avvezzo a trattare con gli uomini che contano davvero, Florio sfrutta al massimo le ristrettezze imposte dalla drastica stretta di vite. Sacrificando la curva sopraelevata Nord e gran parte del rettilineo centrale, Don Vincenzo imposta un tracciato “classico” raccordato da un breve rettifilo e da due curve a 90 gradi. Con questa geniale trovata, il Gran Premio d’Italia torna in calendario per l’anno 1931: domenica 24 maggio, Giuseppe Campari e Tazio Nuvolari vincono la gara su Alfa Romeo, ribattezzata da subito “Monza” per sancire la rinascita della pista cittadina. Scongiurato il pericolo della chiusura, l’Autodromo ritorna – per l’edizioni 1932 e 1933 – alla formula più collaudata (tracciato di 10 chilometri). Proprio a contorno del Gp d’Italia ’33, la morte in gara di Giuseppe Campari, Mario Bacunin Borzacchini e Stanislao Czaykowski determinata la soppressione e l’abbattimento del primo anello di alta velocità. Montano accuse infondate e interessate: il clan dei Ciano vuole dirottare il Gp d’Italia a Livorno e spende tutta l’influenza politica (e i denari) per massacrare il tracciato monzese. Pressati e vessati da ogni parte, Arturo Mercanti e Renzo Castagneto giocano di rimessa. Il 19 luglio del 1934, arriva il primo sopralluogo per decidere il destino del circuito. Sono presenti l’onorevole Pietro Parisio, commissario del Governo al Raci; Innocenzo Pini; Arturo Mercanti; Renzo Castagneto; il “comm. Filippini; signor Ferrari; cav, Veronesi; signor Nuvolari; signor Minoia; ing. Giuseppe Centola; ing. Cibelli; ing. Canestrini”. La posta in gioco è la sopravvivenza dell’Autodromo di Monza. La discussione è serrata e nervosa anzi che no, con qualche asprezza a bella posta smussata dai più possibilisti. Alla fine, passa la proposta d’inserite due varianti per ridurre la velocità di crociera. Il “tempio della velocità” diventa un surrogato tra la kermesse paesana e una gara di regolarità.

«Gli interventi si sono recati sulla grande curva sud della pista arrestandosi in prossimità del punto dove dovrebbe essere intercalata secondo il progetto presentato della F.I.MP.AC. la prima chicane lunga 70 metri circa. L’on. Parisio ha richiesto l’esplicito parere dei competenti e corridori intervenuti circa la possibilità per le macchine in corsa di entrare e di uscire dalla chicane con ragionevole sicurezza, tenendo conto che, specie nel primo caso, esse avrebbero dovuto frenare e lasciare bruscamente la parte sopraelevata della curva per entrare nella parte piano della chicane. I sigg. Nuvolari, Ferrari e Minoia hanno escluso che la soluzione proposta potesse comunque avere alcuna pericolosità, ed in proposito il sig. Nuvolari ha notato che per poter agevolmente imboccare la chicane, il rallentamento delle macchine in corsa avrebbe dovuto iniziare da 300 metri prima della chicane stessa e perciò praticamente all’inizio della grande curva.I l sig. Nuvolari ha pure notato però che data la limitata lunghezza della chicane, dall’uscita da questa fino al termina della curva, i corridori avrebbero potuto raggiungere velocità superiori a quelle compatibili con le caratteristiche della curva e pertanto suggeriva di allungare sensibilmente il tratto di raccordo rettilineo fra i due gomiti della chicane.

Dopo una discussione alla quale hanno partecipato tutti i presenti, si è definito, avvalendosi anche del parere del corridore Minoia, il quale ha fatto dei giri di prova, quanto segue:1.di fissare in 140 metri la lunghezza della chicane fra i le due svolte interne di essa.2.di eseguirne l’ingresso e l’uscita normali alle tangenti dei punti di ingresso e di uscita stessi senza alcun raccordo praticamente apprezzabile.3.di lasciare di otto metri la larghezza della pista lungo la chicane. 4.di fare terminare la chicane quasi al centro della grande curva sud e precisamente 15 o 20 metri prima del viale alberato. 5.di spianare il terreno circostante la chicane in modo che un corridore uscendo eventualmente di strada possa ancora ritornare in pista. Definite così le caratteristiche della prima chicane gli intervenuti si sono recati all’imbocco del viale di raccordo fra le pista orientale ed il rettilineo centrale. Ivi è stata considerata la proposta di costruire un nuovo viale parallelo a quello esistente. Sentito il parere dei presenti ed in special modo dei corridori, si è ritenuta non necessaria la costruzione del nuovo viale esistente già servito come parte del circuito in occasione di manifestazioni degli anni scorsi, purché fosse abbandonato il raccordo ad arco di cerchio esistente e fosse creato in suo luogo un raccordo a squadra in asse col rettilineo attuale.

Tale soluzione richiede la sistemazione generale di tutta la pista fra i rettilineo orientale della pista stessa e quello centrale del circuito stradale ed in special modo la sistemazione dei due imbocchi tutt’ora esistenti. Al termine del rettilineo anzidetto viene adottata una svolta a squadra abbandonando la primitiva soluzione di seguire la strada esistente che avrebbe dato luogo ad una curva di ritorno a cuspide. E’ stata inoltre messa in evidenza la necessità di provvedere all’imbocco all’uscita e lungo il viale con opportune misure di sicurezza e segnalazioni, a rendere meno pericolosi e bene evidenti i punti di cambiamento di direzione ed a proteggere mediante adeguati accorgimenti gli alberi fiancheggianti il viale di raccordo di cui innanzi. Successivamente è stato esaminato, sulla curvetta meridionale del circuito stradale, il punto dove dovrebbe essere intervallata la seconda chicane. Ritenendo valevole anche per questo caso le considerazioni già fatte per la prima chicane, eccettuata quella inerente alla necessità di allungarla, sono rimaste inalterate le caratteristiche del progetto della Società F.I.M.P.A.C. lasciando cioè la chicane al centro della curva e restando la sua lunghezza in 70 metri.

E’ stato suggerito specie da Nuvolari di rendere leggermente più dolce l’imbocco e l’uscita di essa, in modo di aver un angolo leggermente ottuso fra la tangente all’asse della curvetta e l’asse del primo lato del terzo della chicane. Infine è stata mesa in evidenza la necessità di livellare opportunamente il terreno della zona circostante alla chicane. Oltre a queste considerazioni inerenti alle singole varianti proposte, in linea generale è stato proposto di adottare speciali segnalazioni atte a dare ai corridori opportuni riferimenti per meglio valutare la distanza dei vari punti singolari del percorso”. Il Gran Premio d’Italia di domenica 9 settembre è il figlio spurio di tanto smarrimento. Per salvare il circuito e salvaguardare la licenza Aiacr, gli organizzatori monzesi partoriscono soluzione tampone per limitare la velocità in corsa. Sfruttando la curvetta Sud, la curva sopraelevata Sud, il breve raccordo del circuito Florio e metà del rettifilo delle tribune con una curva di ritorno da affrontare da fermo, viene costruito un tracciato ultra-cittadino, ancor più rallentato dalle due “chicanes” pensate e approvate a luglio. Da Monza a Montecarlo il passo è lungo: anzi, è troppo per una pista pensata e costruita per esaltare la velocità pura. La media della vettura vincitrice – la Mercedes W25 di Fagioli e Caracciola – oltrepassa di poco i 100 chilometri all’ora (105,175); meno ancora i secondi (Stuck e Leiningen, Auto Union A) e terzi classificati (Trossi e Comotti, Alfa Romeo P3). Luigi Fagioli, poco incline alle smancerie, commenterà in fulminante marchigiano: ho vinto un Gran Premio a passo di lumaca.