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Lavoro in Brianza, i casi Canali, Nokia e Panem: salgono a 200 i lavoratori a rischio a Carate

Da 134 a quasi 200 i lavoratori a rischio alla Canali di Carate Brianza, licenziamenti alla Nokia di Vimercate, spettro fallimenti alla Panem di Muggiò. Scioperi alla Candy di Brugherio. Una fotografia scura del lavoro in Brianza.
carate canali: sindacalisti ed rsu in regione
carate canali: sindacalisti ed rsu in regione Signorini Federica

Da 134 a quasi 200 i lavoratori a rischio alla Canali di Carate Brianza, licenziamenti alla Nokia di Vimercate, spettro fallimenti alla Panem di Muggiò. Scioperi alla Candy di Brugherio. Una fotografia scura del lavoro in Brianza.

LEGGI Scioperi a Brugherio

Carate Brianza – Fumata nera dalla IV Commissione attività produttive e occupazione, che giovedì scorso ha registrato la ferma volontà dell’azienda Canali (rappresentata dal responsabile delle risorse umane Matteo Bondavalli) di chiudere il sito produttivo di Carate Brianza.

«Chiediamo ancora il ritiro della procedura di licenziamento collettivo, disponibili a trovare tutte le soluzioni possibili per salvaguardare il maggior numero possibile di lavoratrici e lavoratori – ha commentato Andrea Saccani della Filctem Cgil – I bilanci aziendali sono sani e su un totale di 1308 dipendenti del gruppo, il taglio caratese corrisponde al 7%. Crediamo che questo margine si possa recuperare in altra maniera».

La responsabilità sociale a cui l’azienda è stata richiamata dalla schiera sindacale e politica «è ancor più impattante di quel che sembra – osserva Tiziano Cogliati della Femca Cisl – Perché oltre ai 134 dipendenti, ci sono una cinquantina di lavoratrici a domicilio che operavano per la Canali tramite cooperativa».

Ora si attende il tavolo al Ministero dello sviluppo economico e l’incontro con la presidente della Camera, Laura Boldrini: entrambi martedì 14 novembre a Roma.

All’incontro istituzionale di giovedì erano presenti anche i sindaci di Lissone Concettina Monguzzi (anche vicepresidente provinciale), di Sovico Alfredo Colombo, di Carate Francesco Paoletti e di Triuggio Pietro Cicardi.
Quest’ultimo ha ricordato che «un paio di anni fa il nostro Comune si è confrontato con la proprietà: intendeva chiudere il sito di Carate trasferendone le maestranze al polo di Triuggio. Era già in fase avanzata la trattativa per la concessione, tramite convenzione, di un’area standard vicino al cimitero comunale per nuovi parcheggi. Poi il rapporto si è improvvisamente interrotto».

Il ricordo di quell’ipotesi, mai più tirata fuori dal cappello, rende ancor più spiazzante la scelta di licenziare in toto le dipendenti caratesi. Che già era stata una doccia fredda dopo la ristrutturazione dell’ultimo anno: ha comportato il ricorso ai contratti di solidarietà e si è conclusa con l’uscita concordata di 75 dipendenti (e l’accettazione del part-time da parte di altre 39). Pareva punto di arrivo. Ma a un mese dalla chiusura della solidarietà e della firma dei part-time, è arrivato l’annuncio della chiusura del sito Eraclon.

Il sito produttivo di via del Valà dovrebbe svuotarsi del tutto nei prossimi giorni: «È rimasto attivo solo il reparto stireria, alle spalle abbiamo il buio e il vuoto. Ma fino alla fine rimaniamo lavoratrici serie, finiamo quel che c’è da fare» dice Rosanna Tremolada, rsu della Cgil. Dopo lo sciopero del 18 ottobre, l’azienda ha lasciato alle dipendenti la possibilità di rimanere in permesso retribuito in mancanza di lavoro; i part-time sono stati riportati a orario pieno per evitare ripercussioni sulla futura disoccupazione. (a cura di Federica Signorini)

Vimercate – Sono sette i dipendenti Nokia che si sono rifiutati di firmare l’uscita volontaria dall’azienda e che dunque hanno deciso di impugnare il licenziamento. Conti certi, questa volta, perché a fornirli è stata direttamente l’azienda che martedì, primo giorno dopo la chiusura della procedura varata prima dell’estate, ha comunicato alle rappresentanze sindacali unitarie lo stato dell’arte.

Una resistenza esigua se rapportata ai 115 posti di lavoro tagliati su scala nazionale, 82 dei quali presso il solo sito ex Alcatel Lucent di Vimercate. In realtà, una cinquantina di queste uscite è stata sin dall’inizio volontaria, mentre i 64 lavoratori coinvolti dall’autunno scorso nella cassa integrazione hanno visto nei mesi chiudersi ogni possibile prospettiva di rientro in reparto e in larga parte, di fronte allo scenario ormai palpabile della disoccupazione, hanno optato per il male minore dell’incentivo.

Riflessioni che le rsu martedì hanno portato all’attenzione dei colleghi con un volantinaggio di solidarietà davanti all’ingresso del sito: “Oggi Nokia licenzia decine di persone in Italia, contravvenendo all’impegno preso il 14 luglio 2016 al ministero dello Sviluppo economico di scongiurare soluzioni traumatiche –si leggeva nel volantino – Questa è la realtà di questa azienda, al di là di tutte le parole sull’etica, l’integrità, la cultura aziendale, ‘il benessere delle persone’… Fatevelo raccontare da chi è stato messo fuori, senza alternative».

I sindacati sono ora impegnati a fornire aiuto legale ai lavoratori che hanno deciso di opporsi al licenziamento e supporto a trovare ricollocazione a tutti i colleghi senza più posto di lavoro. Il timore delle rsu è che all’orizzonte si addensino nuovi tagli, come suggerisce più di un elemento, dal processo di assorbimento di Alcatel Lucent in Nokia, con il perfezionamento della fusione commerciale e contrattuale nel 2018, al correlato seguito della ristrutturazione con riduzione dei costi, a cominciare dal personale.

Tutto ciò pone per i sindacati una questione più generale e pressante per affrontare l’apertura di un nuovo e serrato confronto con il colosso finlandese: “In giro per l’azienda si nota una certa aria di rassegnazione, come se le cose non potessero mai cambiare –si legge nel volantino- Si spera sempre che sia qualcun altro a finire nel girone infernale degli esuberi e intanto si continua a lavorare a testa bassa, con poca partecipazione e poca discussione collettiva. Eppure l’esperienza insegna che anche le persone che sembravano essere indispensabili per l’azienda, a un certo punto sono state gettate via come scarpe vecchie. Se non lottiamo oggi per i nostri diritti, domani sarà troppo tardi e l’unica scelta che avremo sarà quella di accettare un incentivo, ammesso che ve ne siano ancora, o intraprendere un’azione legale”. (a cura di Anna Prada)

Muggiò- Cinquant’anni di storia di panificazione industriale appesi a un filo. È sottilissima la speranza di mantenere in vita Panem, storica azienda di Muggiò, il cui destino si consumerà il 15 novembre al Tribunale cosentino di Castrovillari. Per quella data, infatti, si attende il giudizio definitivo sull’eventuale fallimento di Alimentitaliani, la società del gruppo iGreco che ha rilevato tutti gli asset del Gruppo Novelli, tra cui proprio Panem. La situazione, infatti, era precipitata lo scorso settembre quando il Tribunale di Castrovillari aveva respinto la proposta di concordato in continuità, depositata il 28 luglio da Alimentitaliani srl, la società della famiglia Greco che alla fine del 2016 al prezzo simbolico di un euro aveva acquisito il Gruppo Novelli, al termine di un’operazione avallata dal Ministero dello Sviluppo economico. In effetti lo scorso 18 settembre ai dipendenti della Novelli Service era stata data comunicazione di un grave stato di dissesto finanziario e di squilibrio economico, nonostante i recentissimi toni trionfalistici del proprietario Saverio Greco in un’audizione in Regione Umbria, dove si trovano alcuni siti produttivi del gruppo. Una decina di giorni più tardi il Tribunale di Castrovillari aveva così decretato che nel piano presentato da Alimentitaliani non esistevano “i presupposti e le condizioni per l’ammissibilità del concordato”, concedendo lo scorso ottobre alla famiglia Greco un’ulteriore proroga per integrare il piano con nuovi documenti ed evitare così il fallimento.

È difficile oggi pensare che Panem sia stato uno dei marchi più importanti nel settore della panificazione, diffuso grazie al più grande panificio industriale italiano, con 300 dipendenti, fornitore di oltre 5000 punti vendita in tutto il territorio nazionale, con stabilimenti anche ad Altopascio (Lucca), San Mauro torinese e Assago.

Intere generazioni di bambini delle elementari della Brianza hanno visitato la sede di via Pavia con la scuola, poi, a metà degli anni Novanta, ecco le prime difficoltà per “ingordigia industriale” come l’hanno definita Cgil, Cisl e Uil: «L’importante era produrre in massa, non la redditività: si produceva più del necessario e c’erano molti resi». I cambiamenti delle abitudini alimentari, il proliferare di allergie e intolleranze, oltre alla scelta della grande distribuzione di puntare sul pane surgelato da cuocere in forni di proprietà interni, hanno fatto il resto, nonostante l’alta qualità di Panem e il suo tentativo di innovare. (a cura di Luca Scarpetta)