Tettamanzi uomo di «bontà ed equilibrio». Fu lui a istituire il fondo per i disoccupati

Così disse di lui il cardinal Martini accogliendolo come successore. Tettamanzi pose la solidarietà al centro del suo messaggio. Fu vicino a separati e divorziati ai quali indirizzo una lettera
Tettamanzi ad Arcore in mezzo alla gente
Tettamanzi ad Arcore in mezzo alla gente

La passione di stare in mezzo alla gente e una particolare attenzione alle ferite più dolorose della sua Diocesi, qualsiasi fosse e qualunque fosse il suo ruolo. Il cardinale Dionigi Tettamanzi, da Renate a Genova, da Milano a Villa Sacro Cuore di Triuggio (sua ultima dimora in questi anni) non smise mai di rimarcare, con il suo ministero, il suo operato e con la sua voce, la necessità di un nuovo slancio missionario.

“Uomini e donne del nostro tempo hanno diritto alla nostra gioiosa e coraggiosa testimonianza di fede, come ne ha diritto la società intera” disse appena arrivato alla guida della Diocesi più grande del mondo. Lo stesso Carlo Maria Martini disse del suo successore: “Sono molto grato per la scelta del Santo Padre e invito tutti ad accogliere il cardinale Tettamanzi con cuore aperto e con spirito di fede. Egli è ben noto a noi perché figlio di questa diocesi ambrosiana. Porta dunque una grande esperienza educativa, pastorale e scientifica ed è apprezzato per la sua grande bontà ed equilibrio”. E lui, l’arcivescovo della Brianza, subito, nel suo primo discorso rivolto a Milano, nel settembre 2002, mostrò attenzione alle ferite più dolorose, con il desiderio di stare in mezzo alla gente e in particolare agli ultimi. Con grande disponibilità e umiltà.

“Il mio saluto vuole raggiungere tutte le famiglie, in particolare quelle in difficoltà – disse Tettamanzi – Vorrei che ciascuno sapesse che, nel Signore, amo e cercherò d’amare sino alla fine questa Chiesa. Non sono mai stato io a coltivare dentro di me il desiderio di diventare arcivescovo di Milano. Il mio essere “tra voi” e “per voi”, non è “da me”, ma è frutto di un disegno divino; è Dio che ha diretto il mio cammino verso di voi… Dio solo sa i sentimenti che hanno attraversato e attraversano il mio cuore. Si possono riassumere nella sincera consapevolezza della mia debolezza e indegnità e, insieme, nella serenità che nasce dal sapermi attratto dall’amore di Dio”.

E subito, Tettamanzi invitò tutti alla necessità di un nuovo slancio missionario. Un’attenzione, la sua, che non venne mai meno. Nel dicembre 2009, nel tradizionale discorso alla città in occasione di Sant’Ambrogio, disse: “Non bastano gli edifici, i ponti, i grattacieli, le strade a rendere ricca e interiormente viva una città. La ricchezza più grande sono gli abitanti, sono loro a renderla viva e nobile con le proprie virtù e le proprie qualità spirituali, il lavoro e il volontariato, la fede e la cultura, l’accoglienza e la dedizione agli altri, la cura degli ultimi e l’apertura al mondo”.

Forte, allora, in anni particolarmente difficili, il titolo del discorso alla città: Milano torni grande con la solidarietà e la sobrietà. “È la pratica straordinaria della solidarietà che ha reso grande nei secoli Milano – aggiunse -. E “non c’è solidarietà senza sobrietà (…) ci siamo lasciati andare a una cultura dell’eccesso, dell’esagerazione, in tutto: nei consumi, nello spreco, nei modi di vivere, in una sorta di cieca, reciproca competizione. (…) La sobrietà è questione di giustizia (…) Solo chi è sobrio, può essere veramente solidale. La sobrietà apre agli altri e ridimensiona l’importanza eccessiva che diamo a noi stessi”.

Una sobrietà e una solidarietà che hanno sempre rappresentato l’essenza del suo essere guida della Diocesi. Tettamanzi, nel corso del suo ministero, ha seguito con particolare attenzione le ripercussioni della crisi economica sulla società e nel dicembre 2008 ha istituito il Fondo famiglia-lavoro per sostenere i disoccupati, vittime delle nuove povertà. E ancora oggi il fondo è attivo con il cardinale Angelo Scola, nel solco dell’iniziativa voluta da Tettamanzi in quella notte di Natale del 2008. Disse allora Tettamanzi, che avviò il fondo con una dotazione di un milione di euro: “Questo gesto piccolo diventa coinvolgente perché chiede di rivedere lo stile di vita di tutti nell’istanza della sobrietà”. E l’iniziativa del Fondo divenne in poco tempo dirompente. Con aiuti molto importanti.

Dalle ferite della povertà alle ferite dell’anima. Tettamanzi scrisse nello stesso anno “Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito”, lettera agli sposi in situazione di separazione, divorzio e nuova unione. Un modo per mostrare la vicinanza della Chiesa a queste situazioni difficili. Parole di conforto, le sue: “Sorelle e fratelli amati e desiderati” che dalla Chiesa non sono guardati “come estranei che hanno mancato a un patto” dal momento che la comunità cristiana “si sente partecipe delle domande” che “toccano intimamente” queste persone. E infatti nella lettera Tettamanzi si rivolge anche a quanti “hanno fatto esperienza di qualche durezza nel rapporto con la realtà ecclesiale” e a queste persone in particolare il cardinale esprime il suo “dispiacere”. Una chiesa, quella sollecitata da Tettamanzi, che è oggi quella di papa Francesco. Una chiesa che in nessuna occasione alza muri ma che traccia strade, anche nuove, di dialogo e accoglienza. Ecco, appunto, l’accoglienza. A villa Sacro Cuore, la nuova casa di Tettamanzi dopo aver lasciato Milano, venne accolto subito l’appello che papa Bergoglio lanciò, in piena emergenza migranti qualche anno fa, a tutte le realtà ecclesiastiche, di accogliere i richiedenti asilo. Un gesto che, ancora una volta, si mostra nel solco dell’intero ministero pastorale del cardinale di Renate.