Seveso 40 anni dopo il disastro Icmesa: più ipertensione e problemi cardiaci a causa dello stress da diossina

Convegno dell’Ordine dei medici sugli effetti della nube tossica : per quanto riguarda i tumori (dati 2012 e 2013) non si registrano aumenti né dell’incidenza, né della mortalità. Ma tra le cause di decesso non tumorali aumentano ipertensione nelle donne e patologie cardiache tra gli uomini probabilmente a causa dello stress per la situazione vissuta
SEVESO CONVEGNO SU L'EVENTO DIOSSINA 40 ANNI DOPO
SEVESO CONVEGNO SU L’EVENTO DIOSSINA 40 ANNI DOPO Attilio Pozzi

Seveso, 40 anni fa la nube tossica. Ieri l’esito degli effetti sulla popolazione al convegno dell’Ordine dei medici di Monza e Brianza. Nessun aumento della mortalità e dei tumori statisticamente rilevanti, ma un danno psicologico pesante.

“Lo studio compiuto da noi rappresenta l’unico vero studio scientifico sui danni che la diossina provoca nell’uomo: abbiamo monitorato la popolazione da allora, cioè dall’inizio del disastro, fino a pochi anni fa”. Così Paolo Mocarelli, il medico che ha organizzato il momento dell’emergenza e poi seguito per 40 anni gli effetti del disastro di Seveso, ha commentato i dati forniti al convegno organizzato dall’Ordine dei medici di Monza e Brianza, tenutosi nell’ex seminario di Seveso, la città che 40 anni fa subì il disastro della nube tossica uscita dalla fabbrica Icmesa.

Il disastro. La fabbrica, nella produzione di cosmetici, utilizzava reagenti chimici, tra cui il clorofenolo, un diserbante, Con elevato calore ogni due milioni di particelle sviluppa una di diossina (tetraclorodibenzodiossina, tcdd). Nel 1976, il 10 luglio, un mese di caldo torrido, un guasto all’impianto di raffreddamento del reattore provocò sotto forma di nube la fuoriuscita nell’ambiente di una tonnellata e mezzo di reagenti, tra cui la soda caustica e 20-30 chili di diossina. Oggi, grazie proprio agli studi su Seveso, si sa che la diossina è un veleno molto più potente del cianuro, mortale in modo micidiale per gli animali, non per l’uomo se non assunto in dosi elevate. Ma allora non si sapeva cosa fosse e che reazioni provocasse.

A Seveso, subito dopo la fuoriuscita della nube, cominciarono a morire gli animali da cortile, conigli, galline e uccelli, e a ingiallire le foglie degli alberi. Pochi giorni dopo alcuni bambini mostrarono ustioni al volto, dovute alla soda caustica. Più tardi si mostrò anche la cloracne, patologia della pelle provocata dalla esposizione alla diossina.

“Siamo profondamente dentro un disastro ignoto” così disse preoccupatissimo il sindaco di allora Francesco Rocca. La città venne divisa in tre macro aree: la A, la più seriamente colpita, dove vivevano 800 persone, venne chiusa ed evacuata in residence; la B, 5000 persone, e la R, zona di rispetto, 2000 persone. Tutti gli abitanti, i militari che svolsero servizio nel blindare la città, i dipendenti dell’Icmesa e la popolazione residente nelle vicinanze della fabbrica (in totale oltre 200mila persone) vennero sottoposti immediatamente a esami del sangue, e per campioni di residenti i controlli continuarono nel tempo fino a pochi anni fa. Nessuno ha mai detto ai sevesini che l’allarme è cessato e che sono completamente guariti. La vita della città, col tempo, naturalmente è ripresa. Ma oggi si hanno a disposizione i dati scientifici del monitoraggio, esposti con dovizia di particolari al convegno dei medici di Monza e Brianza.

I dati medico-scientifici. Paolo Mocarelli, già direttore del servizio universitario Medicina di laboratorio dell’ospedale di Desio. “Vennero creati diversi comitati: regionale, nazionale, economico (per eventuali rimborso dei danni) e quindi un comitato speciale. Organizzammo già sul finire di luglio i prelievi e i controlli: dovevamo capire cosa succedeva al metabolismo, al fegato, ai reni, all’apparato riproduttivo, al sistema immunitario. Mobilitammo gli specialisti richiamammo medici dalle ferie, facemmo turni 24 ore su 24. Fu un lavoro molto difficile: non c’erano i computer, né fax, né cellulari, né internet…”

Dagli 800-1000 esami al giorno, a Desio si arrivò a 10mila. Fortunatamente, per l’elaborazione dei dati non si partiva da zero: due anni prima, nel ’74, l’ospedale desiano di era dotato di un computer avanzatissimo (per l’epoca). “Ci aspettavamo, secondo le teorie conosciute allora, grossi danni al fegato. Invece i primi dati smentirono la tossicità acuta, quindi in base a questo decidemmo di non evacuare la zona B. Anche se alla gente vennero imposte pesanti misure restrittive: vietato il consumo di verdure cresciute nella zona, i bambini non dovevano giocare nelle aree verdi, non si doveva sollevare la polvere, fino al divieto di procreare.

“Tutti diedero il meglio di sé”. Altra decisione importante: “Scartammo l’ipotesi di fare un inceneritore”. Sarebbero arrivati altri rifiuti, ma soprattutto il colosso sarebbe rimasto come segno imperituro di un disastro ambientale, un marchio negativo per Seveso. Si optò per la decorticazione della terra contaminata.”

Mocarelli assicura che “nell’emergenza tutti diedero il meglio di sé, dai medici, alla popolazione, ai politici. Facemmo molte riunioni per coinvolgere nelle scelte la popolazione, per comunicare i problemi e risolverli insieme”. Non a caso quello che successe a Seveso spinse gli Stati dell’Unione europea a dotarsi di una politica comune in materia di prevenzione dei grandi rischi industriali a partire dal 1982.

La direttiva europea denominata “direttiva Seveso” (direttiva europea 82/501/CEE, recepita in Italia con il DPR 17 maggio 1988, n. 175 nella sua prima versione) impone agli stati membri di identificare i propri siti a rischio.Il censimento degli stabilimenti a rischio, con identificazione delle sostanze pericolose; l’esistenza in ogni stabilimento a rischio di un piano di prevenzione e di un piano di emergenza; la cooperazione tra i gestori per limitare l’effetto domino; il controllo dell’urbanizzazione attorno ai siti a rischio; l’informazione degli abitanti delle zone limitrofe; l’esistenza di un’autorità preposta all’ispezione dei siti a rischio.

Mortalità e incidenza tumori. Il ruolo dello stress. Pietro Alberto Bertazzi, medico della Clinica del lavoro, Università degli studi di Milano ha riferito i risultati dell’indagine svolta su 280mila persone residenti in undici comuni dell’area sevesina. Fonti: anagrafi comunali, anagrafi assistiti, Asl, Istat, ospedali.

“Complessivamente, i risultati aggiornati al 2012 (incidenza) e 2013 (mortalità) mostrano che per i tumori, né la mortalità né l’incidenza sono aumentate in alcuna delle zone inquinate”. Ci sono però casi che fanno pensare, oltre le statistiche: “Si è osservato un incremento nelle zone A e B, con 64 casi osservati nel corso di 30 anni, mentre se ne aspettavano 44”. Dei 20 casi in eccesso 4 erano in zona A (la più contaminata), e 16 in B. Tra le forme specifiche, principalmente interessate appaiono le leucemie mieloidi e il mieloma multiplo. E suona un altro campanello di allarme: tra le cause non tumorali, la mortalità ha messo in luce un incremento delle patologie cardiache tra gli uomini e ipertensive tra le donne in zona A. Per Bertazzi si tratta di quadri collegabili non solo e forse non tanto, all’elevato inquinamento quanto alla drammatica esperienza degli abitanti di questa zona, all’incertezza e ansia vissute per il futuro proprio e dei propri figli, oltre che alla forzata evacuazione. E conclude: “Potrebbe essre racchiusa qui una delle molte, importanti lezioni che derivano dall’incidente del 1976 e dalle attività che ne sono seguite: non solo le sostanze chimiche sono nocive ma anche le condizioni psicosociali determinate dall’incidente”.

Diossina e sistema riproduttivo. Paolo Brambilla, docente di biochimica clinica all’Università Milano-Bicocca, direttore del Servizio universitario medicina di laboratorio dell’ospedale di Desio, ha esposto un altro dato di conoscenza sugli effetti della diossina sull’uomo. “Mediante l’analisi dei campioni congelati è stato possibile studiare la concentrazione del tcdd nel siero e determinarne la velocità di scomparsa (emivita): è risultata essere di 7-8 anni per i maschi, 8-10 anni per le femmine e molto più breve nei bambini (dura mesi)”. Diabete: si è registrato un certo aumento negli abitanti delle tre zone, quasi esclusivamente tra le donne, ma si tratta di pochi casi.

Fertilità: non ci sono stati incrementi degli aborti spontanei. Chi ha subito più esposizione alla diossina ha impiegato più tempo nella procreazione: cercando il figlio nell’anno ha impiegato 5 mesi anziché due.

I maschi subiscono una sensibile diminuzione degli spermatozoi se colpiti dalla diossina prima dei 12 anni di età: la capacità riproduttiva aumenta, invece, se l’intossicazione avviene tra i 12 e 18 anni. L’effetto diossina si annulla nelle età successive.