Più di 300 profughi a Monza e Brianza, ecco chi li ha accolti

Sono più di 300 i profughi che da marzo si sono fermati a Monza e Brianza, gestiti dal piano concordato con la prefettura che ha di nuovo chiesto ai sindaci, senza ottenere risposte, la disponibilità per un nuovo centro di smistamento. Ecco dove si trovano gli stranieri.
Più di 300 profughi a Monza e Brianza, ecco chi li ha accolti

Niente da fare: l’hub per l’accoglienza temporanea dei profughi non si trova. Venerdì l’assemblea dei sindaci non ha messo sul piatto nessuna ipotesi concreta per l’allestimento di un centro di rotazione per gli stranieri che giungeranno in Brianza nelle prossime settimane. L’appello lanciato dal prefetto Giovanna Vilasi (nella foto) e dal presidente della Provincia Gigi Ponti per ora è caduto nel vuoto. Eppure, ha spiegato il prefetto, è necessario individuare una struttura alternativa a quella monzese di via Spallanzani in quanto la fase di identificazione e delle visite «va gestita mantenendo la dignità umana». In Brianza, ha spiegato, la situazione è migliore che altrove: finora sul nostro territorio è stato decentrato oltre il 9% dei richiedenti asilo destinati alla Lombardia ma d’ora in poi il valore calerà all’8 in quanto la suddivisione sarà effettuata sul numero degli stranieri presenti. Dei 651 arrivati da marzo a fine dicembre ne sono rimasti 310 mentre gli altri sono ripartiti per il Nord Europa: tra loro ci sono 293 uomini soli, 11 donne, due famiglie con un neonato. Provengono perlopiù da Costa D’Avorio, Pakistan, Guinea, Bangladesh, Somalia, Mali, Congo, Nigeria, Senegal, Ghana, Gambia, Togo, Mauritania ed Eritrea. I migranti sono alloggiati in 23 comuni: 72 sono a Monza, 39 a Lissone, 32 a Carnate, 20 a Brugherio, 19 a Cavenago, 17 a Seveso, 15 a Cesano Maderno e a Villasanta , 14 a Seregno, 12 a Lentate sul Seveso, 10 a Macherio, 8 a Ronco Briantino, 7 a Lesmo, 6 a Caponago, 5 a Bovisio Masciago, 3 ad Aicurzio, Mezzago, Burago Molgora e Vimercate, 2 ad Arcore, Cornate d’Adda e Usmate Velate, 1 a Sulbiate.

«Non intendiamo – ha ribadito la Vilasi – creare ghetti né assembramenti che possano suscitare ansia tra i residenti. È fondamentale lavorare per l’integrazione e i soldi spesi per questo obiettivo non sono mai sufficienti. Un hub in cui effettuare gli screening dei richiedenti asilo rappresenta una tutela per tutti i cittadini». «L’ospitalità – ha commentato Ponti invitando i sindaci a farsi avanti – è un dovere di civiltà legato ai diritti dei rifugiati». Nessuno tra gli amministratori, però, ha risposto all’appello: il vimercatese Paolo Brambilla si è limitato a constatare che ci sono comuni che non hanno mai accolto uno straniero mentre il limbiatese Raffaele De Luca non avrà «difficoltà a collaborare se i profughi saranno sistemati nelle strutture della Provincia e dell’azienda ospedaliera».

Ha provato a dare la sveglia ai suoi colleghi la macheriese Mariarosa Redaelli: «La palla – ha affermato – è in mano nostra e ognuno ha un pezzetto di responsabilità. Dobbiamo continuare a lavorare perché esistono bisogni urgenti. Non possiamo permetterci di non trovare un hub e altri luoghi per l’accoglienza, ma anche la Regione deve darci alcune risposte».

Ponti ha auspicato che qualche proposta emerga dai tre tavoli territoriali a cui si riuniranno gli amministratori di Monza e della Brianza centrale, quelli della zona Ovest e quelli della Est.

Sono alla ricerca di altri appartamenti e stabili di istituzioni religiose pure le cooperative che gestiscono i progetti di integrazione: «Una terra come la nostra – ha detto sabato a Brugherio Roberto D’Alessio del Consorzio comunità Brianza – deve offrire una chance seria a tutti, pur con i limiti che ha oggi il mercato del lavoro. Dipende, poi, dai profughi coglierla o meno e, anche se si trasferiranno all’estero, se nei mesi che rimarranno qui sperimenteranno l’incontro tra persone e costruiranno relazioni, oltre che a imparare l’italiano, potranno contare su opportunità concrete».

La chiamano accoglienza diffusa ma, hanno constatato venerdì alcuni sindaci, rischia di essere concentrata in alcuni comuni. Lo hanno detto chiaramente i primi cittadini di Lissone e di Carnate, le due località che con Monza, ospitano il maggior numero di profughi. «È troppo comodo – ha commentato la lissonese Concetta Monguzzi – inviare sempre più migranti dove c’è un’amministrazione disponibile mentre altrove non ce ne sono. Tutti devono contribuire a risolvere un problema grosso che, se non sarà gestito da noi, diventerà più grande».

Ha fatto parlare i numeri il carnatese Daniele Nava: in Brianza c’è un richiedente asilo ogni 2.500 abitanti, nel suo paese uno ogni 250. «Noi – ha commentato – siamo aperti all’accoglienza, ma oltre trenta stranieri fissi in un residence possono rappresentare un problema. Il disagio economico ha già generato alcune proteste» e in più di una occasione, dopo che i giovani ospiti si sono ubriacati, sono intervenuti i carabinieri. Nonostante qualche malumore i profughi sono impegnati in un percorso di integrazione a cui partecipa gran parte del paese: quattro stranieri accompagnano gli studenti del Piedibus, quattro effettuano la raccolta di carta e cartone con i volontari dell’oratorio mentre altri svolgono alcuni servizi di pulizia.