Quando dal carcere di via Sanquirico gli hanno detto che su decisione del gip del tribunale di Monza aveva ottenuto gli arresti domiciliari non si è fatto domande. Ha accolto la notizia di buon grado pensando che il suo legale avesse fatto un buon lavoro ottenendo per lui la scarcerazione a sua insaputa.
Qualche dubbio in più gli è venuto strada facendo, quando si è reso conto che le guardie penitenziarie lo stavano accompagnando in un luogo a lui sconosciuto, nell’hinterland milanese, dove non gli risultava avesse una casa e così nessun parente che, nel caso, avrebbe potuto ospitarlo.
E infatti, quando ha suonato al campanello dell’abitazione dove avrebbe dovuto scontare il resto della sua pena per detenzione e spaccio di stupefacenti, gli ha aperto uno sconosciuto, un albanese, il quale si è prima mostrato sorpreso e, poi, gli ha sbattuto la porta in faccia. E tanti saluti.
A quel punto l’ex detenuto, un marocchino, ha capito che qualcuno aveva sbagliato qualcosa, che lui si trovava nel posto sbagliato. Libero, ma forse a causa di un malinteso.
Che fare? Approfittare della situazione? Fare il latitante? Niente di tutto questo. Lo straniero ha telefonato al suo avvocato e gli ha spiegato l’accaduto: «Mi hanno portato qui, in un posto che non conosco, dove mi hanno sbattuto la porta in faccia».
Il legale, a sua volta ignaro di tutta la situazione, è andato a recuperarlo e l’ha portato nel suo studio e da lì ha fatto alcune verifiche.
Prima ha telefonato al carcere dove gli hanno detto che a loro risultava tutto in regola. Poi, attraverso i carabinieri ha svelato l’accaduto: il provvedimento di scarcerazione è stato erroneamente compilato con il nome del suo assistito ma era in realtà diretto a un altro detenuto, quasi omonimo, ma albanese, detenuto per tentato omicidio. A quel punto il marocchino è tornato in cella.