Monza, la strage delle fedeli del 1983: 13 pellegrine morte in un dirupo

È ancora vivo nel quartiere di San Biagio a Monza il ricordo della tragedia del 1983 sulla strada di Tignale quando, a causa di un incidente stradale, tredici pellegrine morirono in un dirupo.
Strage di pellegrine: San Biagio, maggio 1983 (archivio Gian Nava)
Strage di pellegrine: San Biagio, maggio 1983 (archivio Gian Nava) Redazione online

Un ricordo che non sbiadisce nemmeno a distanza di tanti anni. Gianni Serenthà in quel tragico 24 maggio 1983 ha perso sua madre e sua zia. «Ho ricevuto una telefonata mentre ero nello studio di un fiscalista – esordisce – Mi avevano detto che c’era stato un incidente grave con diversi feriti e così con mio fratello don Mario sono partito subito per Tignale».

Tignale: è il luogo sul Garda, vicino a Salò, dove un pullmino carico di pellegrini di ritorno dal santuario della Madonna di Monte Castello precipitò in una scarpata: trenta metri di volo, tredici donne monzesi e l’autista morti.

«Arrivati là siamo stati accolti dal cardinal Martini che era in quel santuario a fare gli esercizi spirituali. È stato lui a dirci ciò che era successo realmente cercando di confortarci. Il cardinale era comunque molto provato e dovette dare la triste notizia anche a mio cugino don Luigi che in quell’incidente perse la mamma».

Torna indietro nel tempo anche Irene, rimasta orfana di sua madre: «Quello è stato un bruttissimo giorno che ha cambiato per sempre la mia vita e quella dei miei familiari – afferma – Tutte quelle donne devote alla chiesa e a Dio non si meritavano di fare quella fine, doveva essere un giorno dedicato alla preghiera ma anche allo svago e alla spensieratezza di tante pensionate. L’unica cosa bella è pensare lei e tutte le sue amiche felici in quel paradiso in cui credevano».

Era al lavoro al Cittadino Giancarlo Nava, storico caposervizio della testata: «Sentita la notizia ho subito telefonato al giornale L’Arena di Verona per avere conferma e chiederne i particolari ma lì nessuno sapeva niente e credo di essere stato io il loro primo informatore. A quel punto mi sono precipitato a san Biagio e nel piazzale antistante la chiesa ho trovato diversi parrocchiani in ansia per la sorte dei loro cari. Non esistevano i cellulari, non si avevano notizie certe e c’era chi ipotizzava il numero delle vittime. C’era chi diceva dieci, chi quindici, chi più di venti».

Non faceva parte della comitiva ma ricorda ancora il dolore che aveva provato l’intera comunità sanbiagina Maria Barzaghi. «Don Mario era affranto e tutta la parrocchia era rimasta molto impressionata da quella disgrazia. Nei giorni successivi all’incidente si cercava di aiutare chi era sopravvissuto andando a fare visite all’ospedale o a tenere compagnia a casa giusto per dare un po’ di sollievo». E più passavano i giorni più emergevano i racconti dei pellegrini.

«C’era chi ricordava di essere sceso con lo stesso pullmino che era poi precipitato nella scarpata – conclude Nava – chi, invece, doveva scendere con la corsa successiva che non sarebbe mai partita. C’era tanto spavento e soprattutto tanto dolore per quelle tredici persone».