Due figli con la distrofia di Duchenne. Il coraggio e la fede dei Balarin

La diagnosi 13 anni fa, quando Luca aveva 5 anni e Gabriele solo 10 mesi. Mamma Luciana: «Ho pensato di essere morta». Poi la scoperta di una forza che arriva dalla fede e dai tanti amici che non lasciano mai sola la famiglia.
Due figli con la distrofia di Duchenne. Il coraggio e la fede dei Balarin

«Quando 13 anni fa abbiamo ricevuto la diagnosi nello stesso momento per entrambi i figli, l’immagine che ho avuto sono state due bare in fondo ai vent’anni che mi aspettavano. Il percorso però era un calvario perché la malattia è progressiva, come la via Crucis di Gesù dove in fondo Lui sapeva di trovare la croce. Ho pensato: sono morta anche io». Le parole di Luciana Balarin non nascondono il dolore di un referto medico che ha cambiato per sempre la vita della sua famiglia. A Luca, allora 5 anni, e a Gabriele, solo 10 mesi, era stata diagnosticata la distrofia muscolare di Duchenne. Oggi Luca ha 19 anni e non cammina più da quando ne aveva 9, mentre Gabriele ne ha 15 e ha smesso da quasi due anni di camminare.

«È stato un periodo durissimo- spiegano i coniugi Mauro e Luciana Balarin- anche per i nostri due figli maggiori, Andrea e Maria Grazia. Non pensavamo neanche neppure più all’idea di poter essere felici». Ma piano piano la prospettiva è cambiata, nonostante i momenti neri, le tribolazioni e l’impotenza di fronte ad un decorso a cui la scienza non è ancora riuscita a dare una terapia. «Mi sono resa conto- sono le parole di Luciana- che in realtà vedevo solo la malattia e non mi accorgevo realmente di loro. È stata la volontà di qualcun’altro e questa volontà era nella Gloria di Dio e io l’accettavo».

E importantissimo è stato il supporto della Uildm di Monza che ha seguito, grazie all’esperienza trentennale nel campo delle distrofie, la famiglia. «Quando Luca ha smesso di camminare- ricorda Mauro- la Uildm mi ha fornito una sorta di motorino elettrico in attesa del dispositivo più idoneo. Sono andato a prendere mio figlio con il cuore che piangeva, ma lui ha acceso il mezzo e si è messo a ridere perché sarebbe riuscito a procedere alla velocità dei coetanei».

Oggi Luca, concluso l’istituto superiore, è impiegato part time in una casa editrice di Meda, mentre il più piccolo dei fratelli sta ancora frequentando la scuola. «Programmiamo di mezza giornata in mezza giornata e percorriamo nei viaggi di accompagnamento, dagli 80 ai 120 chilometri al giorno- spiegano i due genitori- qualsiasi azione diventa una difficoltà, per non parlare poi del tempo e delle energie spese per trafile burocratiche e vuoti normativi».

L’ultimo accadimento è la mancata garanzia da parte dell’Asl della fisioterapia domiciliare per il più piccolo dei figli, al contrario di quanto accaduto per Luca. La famiglia ha così optato per la piscina. «Ho mandato una mail agli amici- conclude Luciana- che a loro volta l’hanno divulgata, per richiedere aiuto per l’accompagnamento nel centro natatorio e hanno risposto in tanti, anche persone mai conosciute. Solo chiedendo, come ho imparato a fare io in questi anni, emergono soluzioni impensate, perché la generosità delle persone è enorme. Questa malattia è stata anche l’occasione per andare a fondo in noi stessi e l’unica risposta è chiedere a Cristo, presente attraverso e nelle circostanze».