«Dicevano che mia moglie non si sarebbe più svegliata: invece è tornata dal coma»

A Rino Martinelli avevano detto che la moglie dopo l’incidente non si sarebbe mai più. Poi hanno portato Edvige Buganza alla San Pietro di Monza e qualcosa è cambiato. Molto. Ecco la loro storia.
Edvige Buganza con il marito Rino Martinelli
Edvige Buganza con il marito Rino Martinelli Fabrizio Radaelli

Come un fiore, Edvige Buganza si sta riaprendo, sboccia lentamente, a fatica apre i suoi petali per riprendersi quello che il destino le ha negato. Edvige è stata una degli ospiti della struttura Slancio. È ricoverata al centro di viale Cesare Battisti da quasi due anni. Un luogo, questo, che nemmeno conosceva, che vedeva passando mentre passeggiava in compagnia del marito Rino Martinelli, durante le loro camminate verso il parco.

Una vita piena e attiva la loro: sposati da 54 anni, ex ragioniere lui oggi alla soglia degli 80 anni, casalinga lei, che di candeline ne ha spente 77, due figli, tre nipoti e una passione incontenibile per il tango. «Eravamo davvero bravi, ci piaceva moltissimo il clima della milonga – racconta Rino -. Abbiamo iniziato con il liscio ma dopo l’incontro con il tango argentino non siamo più tornati indietro». Poi tutto cambia, bastano un attimo e un battito d’ali. Il 15 marzo del 2013 Edvige è sul balcone, innaffia i suoi fiori. Un rumore improvviso proveniente da un sacchetto di plastica la spaventa. Si gira di scatto ed entra in casa ma inciampa nel profilo basso della porta finestra. Cade, picchia la testa ma si rialza. Rino è nella stanza accanto, davanti al computer. «Quando sono andato da lei aveva già il ghiaccio sulla testa e sembrava solo un banale incidente», racconta il marito. Banale come il battito d’ali di una cavalletta che si era andata a nascondere in quel sacchetto.

Non passano molte ore e la situazione precipita. «Edvige aveva un mal di testa fortissimo e quando è svenuta in bagno ho capito che quella caduta non poteva essere qualcosa di banale». Poi la corsa disperata verso una sala operatoria. Al San Gerardo sono tutte occupate e allora l’ambulanza corre a sirene spiegate verso il Manzoni di Lecco. La diagnosi è infausta: l’emorragia cerebrale è estesa, troppo per operarla. I medici tentano. L’intervento riesce ma Edvige è in coma.

«Ci hanno detto che non si sarebbe più risvegliata e che avremmo dovuto cercare un hospice al più presto», continua Martinelli. Dopo una decina di giorni il primo trasferimento a Carate per la riabilitazione, e qui Edvige ricomincia a sbocciare. Lentamente apre un occhio, uno solo, ma è il segno che Rino aspettava. A Carate rimane nove mesi prima dell’arrivo alla San Pietro. «In questi due anni ho assistito a cambiamenti straordinari e che nessuno avrebbe potuto prevedere. Oggi mia moglie muove la mano sinistra, accenna a qualche parola, è vigile e si fa capire perfettamente. Abbiamo ritrovato la sintonia di un tempo, ma la strada è ancora lunga. Sono convinto che questo sia il nostro miracolo. Si è svegliata».

Piccoli successi frutto di tantissimo lavoro e grande fatica. Un petalo dopo l’altro Edvige sta riaprendo al mondo. «Penso che parte del merito vada alla cura che qui alla San Pietro riceve ogni giorno, tanto che dallo scorso marzo è stata trasferita alla Rsa, non è più in stato vegetativo. Il nostro miracolo già lo abbiamo avuto ma io spero che il prossimo passo sia riuscire a rimetterla in piedi un giorno e togliere anche il sondino dell’alimentazione. Noi ci speriamo». Un petalo dopo l’altro.