Carate Brianza saluta Lidio Sanvito, bidello per generazioni di studenti

Gli studenti di Carate Brianza piangono il loro bidello storico: Lidio Sanvito è morto mercoledì a 77 anni. Funerali venerdì 27 novembre alle 14.30 in città nella chiesa prepositurale.
Carate Brianza, Lidio e Clara Sanvito
Carate Brianza, Lidio e Clara Sanvito Alessandra Botto Rossa

Gli studenti di Carate Brianza piangono il loro bidello storico: Lidio Sanvito è morto mercoledì a 77 anni. Funerali venerdì 27 novembre alle 14.30 in città nella chiesa prepositurale.

«Se volessi sintetizzare diciannove anni di stretta convivenza e di profonda amicizia con il signor Sanvito, potrei solo dire che mi è stato maestro. In primo luogo, mi ha insegnato a vivere tutto con passione e seria dedizione». Così Franco Viganò, storico preside dell’istituto scolastico paritario Don Carlo Gnocchi, alla notizia della morte di Sanvito, che si è spento mercoledì mattina all’hospice di Giussano dove era ricoverato per la malattia contro cui combatteva come un leone. Il Don Gnocchi ricorda grato e commosso il suo custode factotum.

Sanvito era il primo ad arrivare, alle 7, e l’ultimo ad andarsene, alle 20. Se di notte suonava l’allarme, inforcava la bicicletta (la sua grande passione coltivata da sempre) e si precipitava in via Dei Gaggioli.

Collaborava alle pulizie dei locali, curava il giardino, si occupava delle manutenzioni e, all’occorrenza, diventava idraulico, imbianchino, elettricista e fattorino. Dopo una vita da bidello all’attigua scuola elementare, attività che aveva condotto con la moglie Clara, sposata nel 1964, nel 1988, quando il Don Gnocchi aveva aperto i battenti, aveva iniziato a dare una mano la sera, come volontario.

Alla pensione, cinque anni dopo, era passato a lavorare a tempo pieno alla scuola superiore, dove è rimasto fino al 2007, quando si è dovuto dedicare completamente alla moglie malata, oggi ospitata in casa di riposo.

«Conosceva i ragazzi uno per uno e per ognuno aveva un messaggio personalizzato», assicura Viganò, che lo ricorda confortare e spronare i “suoi” studenti.

«A me, che ero un preside severo – aggiunge ancora il dirigente – ripeteva: “Ai ragazzi bisogna fare coraggio, non vanno umiliati. Sono giovani!”. Ogni volta, a denti stretti, dovevo ammettere che aveva ragione».