Brugherio, condannato il papà islamico che non accettava la libertà della figlia

Velo obbligatorio e niente lavoro: il giudice condanna il padre islamico. La sentenza a Monza per maltrattamenti. Ma la moglie e i figli raccontano anche un’altra realtà.
Tribunale di Monza
Tribunale di Monza FABRIZIO RADAELLI

Non accettava che la figlia uscisse senza il velo, pretendeva che gli fossero mostrati i messaggi che riceveva sul cellulare ed era contrario che la ragazza lavorasse in una pizzeria del paese, tanto da aggredirla procurandole un occhio nero. Secondo il tribunale di Monza, che nelle ultime ore ha condannato il papà siriano di Brugherio, per maltrattamenti in famiglia, a 3 anni e sei mesi di reclusione, l’imputato era totalmente contrario all’emancipazione della figlia, alla sua “occidentalizzazione”. La sentenza di condanna è stata pronunciata dal giudice Angela Colella che ha tuttavia quasi dimezzato la richiesta altissima di pena (6 anni di reclusione) formulata in sede di conclusioni dalla Procura di Monza.

Ma ci sono comunque diversi elementi, anche contrastanti, sui quali è possibile compiere una riflessione: sì perché il padre manesco, che ora si trova in carcere, è amatissimo dai figli ospiti della comunità protetta, come è emerso dalle dichiarazioni della coordinatrice della struttura protetta: «Dicono sempre cose belle del papà – sottolinea la responsabile in udienza – tutti e tre i bambini lo vorrebbero vedere, lo cercano sempre».
E poi c’è la moglie, vittima pure lei di maltrattamenti, che ha dichiarato di essere disponibile a tornare con il marito. Il padre, si trovava ai domiciliari, ma a maggio la situazione si è aggravata dopo che la figlia ha raccontato ai carabinieri che l’uomo si era fatto trovare fuori dalla comunità, minacciandola e aggredendo il fidanzato (anche se non c’è una testimonianza diretta dell’aggressione). Peraltro la ragazza ha poi fatto parziale retromarcia dicendo di aver sentito delle urla, ma di non aver assistito alle botte. Fatto sta che da quel momento la relazione tra la figlia e un giovane egiziano si interrompe.

«Il padre – ha detto la Procura in aula – era contrario a qualunque tipo di emancipazione della figlia. Quando seppe del lavoro le fece un occhio nero. Non voleva che uscisse senza il velo: quando lo faceva lui si arrabbiava. Il 21 agosto vengono trasportati tutti i familiari al pronto soccorso. Un ferito prende 20 giorni di prognosi».

L’avvocato difensore Monica Gnesi è amareggiata dalla sentenza: «Il mantenimento della posizione custodiale in carcere è una misura inopportuna e assolutamente ingiusta. Ingiusto perché è emerso dalle stesse dichiarazioni della coordinatrice che la figura paterna è molto positiva per i figli e perché la moglie ha dichiarato di essere disposta a tornare col marito. Farò subito richiesta per i domiciliari».