Bimbo rapito e portato in Russia: condannati la mamma e i nonni

Sono stati condannati a 4 anni di reclusione i componenti della potente famiglia russa accusati di aver sottratto al padre di Vimercate un bambino di cinque anni (all’epoca dei fatti ne aveva un paio).
Tribunale a Monza
Tribunale a Monza FABRIZIO RADAELLI

Sono stati condannati a 4 anni di reclusione i componenti della potente famiglia russa molto vicina agli oligarchi accusati di aver sottratto al padre di Vimercate un bambino di cinque anni (all’epoca dei fatti ne aveva un paio). Sul banco degli imputati erano finiti la mamma del piccolo e i genitori di lei, i nonni materni. La famiglia, in concorso di reato, era accusata di sequestro di persona e di sottrazione di minore.

Il giudice del tribunale di Monza, Letizia Brambilla, li ha condannati al massimo della pena, sospendendo anche la responsabilità genitoriale della mamma. Una sentenza in ambito civile aveva già assegnato l’affidamento esclusivo del piccolo al papà.

La storia di un padre disperato che di punto in bianco si è ritrovato privato del suo piccolo. Nel 2009 l’uomo, parte lesa nel processo, si era sposato con la donna: una relazione entusiasmante che ha portato nel 2012 alla nascita del loro bambino, italiano. Qualcosa tra loro è cambiato tra il novembre del 2014 e il Capodanno 2015. I suoceri, di vecchio stampo tradizionale russo, non avrebbero mai accettato un certo tipo di educazione per il nipote. Lo volevano “russo” a tutti gli effetti, tanto da pianificare già dal mese di novembre la grande fuga verso Mosca.

Senza che nessuno si fosse accorto di nulla, nella loro visita a Vimercate avevano svuotato il guardaroba della figlia in vista del trasferimento di un mese dopo.
«A fine dicembre – ha raccontato il papà in aula – siamo andati in Russia a festeggiare il Capodanno. Il primo sono ripartito per motivi di lavoro. Il 4 ricevo una telefonata dalla Russia nella quale mi dicono che non avrebbero fatto più rientro».

Da lì è iniziato il calvario: «Ogni settimana sono tornato in Russia per poter vedere mio figlio, ma era impossibile. Potevo incontrarlo solo in un centro commerciale insieme alle loro guardie armate. Mi ripetevano che il bimbo doveva restare in Russia e ricevere un’educazione russa. A metà aprile 2015 è l’ultima volta che l’ho visto: erano presenti 7 guardie armate».
È stato minacciato, tanto che le autorità gli hanno consigliato di evitare di fare rientro in Russia a rischio della propria incolumità. Un padre coraggioso che ha sfidato un sistema per poter riabbracciare il piccolo. Una battaglia che andrà avanti anche dopo la condanna.